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venerdì 6 giugno 2014

La professione del coach e la dipendenza comportamentale

Ultimamente mi sono fermato a riflettere sul fatto che sia in tv che soprattutto sui social stanno spuntando come funghi i coach.

Ce ne sono di tutti i tipi e per tutte le esigenze, dallo sport alla famiglia, passando per i problemi personali.
Premetto che non sto parlando di nessuno in particolare e non sto neppure polemizzando ma sto dando la mia modesta visione del fenomeno.


Si, è vero, in Italia c’è la crisi, c’è il 40% (anche di più) di tasso di disoccupazione e per tirare avanti la carretta bisogna pur “arrangiarsi”, inventarsi una professione utilizzando le proprie risorse nella maniera migliore.
Un’altra cosa vera è che c’è tanta gente che ha problemi, piccoli o grandi che siano, siamo tutti a caccia freneticamente della “medicina”.
E moltissime persone ricorrono al coaching per alleviare il dolore del’anima (altrimenti non si spiegherebbe il successo di questa professione).

Molte persone ricorrono al coaching anche per crescere (sia in senso lavorativo che psicologico).

Quello che non capisco e che mi piacerebbe capire è che tipo di formazione ha un coach per “aiutarti” a risolvere i tuoi problemi: se ho dei problemi alla gola vado da un medico che si chiama otorinolaringoiatra, mentre se ho problemi dell’anima vado da un psicologo o da uno psichiatra, mentre il coaching sembra essere una “medicina” più soft, più alla mano, più comoda, più trendy.

Ho parlato con diverse figure di questo tipo e tutti mi hanno risposto che non è il coach ad aiutarti ma sono gli input stessi che questa figura da a fare in modo che tu ti aiuti da solo.

Ok, capito, ma non mi basta….
In pratica io che ho un problema pago (ed anche profumatamente) una persona affinchè mi faccia delle domande….

In tutto questo non c’è nulla di male ma c’è un fatto che mi spaventa, un “X factor” che bisogna tenere in considerazione: la dipendenza comportamentale.
Se io sto male e trovo una persona affascinante, con un nome famoso, con una certa verve e carisma che mi offre la sua mano, che addirittura mi sponsorizza e mi fa da mentore se sono una persona debole, sola, ed ho delle difficoltà a riuscire, come la maggior parte delle persone che ricorrono a queste figure… vado a rischio di instaurare un rapporto di dipendenza comportamentale ed il fatto è che se il coach è bravo deve fare di tutto per evitare che si attui questo meccanismo, ma è anche vero che molti non lo fanno e per profitto continuano a somministrarti “la pillola” che ti fa stare bene.

Proprio come le tossicodipendenze, le dipendenze comportamentali si manifestano attraverso sensazioni ben precise, come l’impossibilità di resistere all’impulso di mettere in atto un determinato comportamento, accompagnata da quell’indecifrabile crescente tensione che precede il comportamento stesso. Mettere in atto un comportamento di dipendenza significa provare un certo piacere e sollievo nel dar sfogo alla propria mania, sensazioni che di per sé sono lette come innocue e non legate a un comportamento sbagliato, inoltre una crescente perdita di controllo su ciò che si fa permette all’individuo di non percepire chiaramente la negatività del suo atteggiamento.
In poche parole, io sto male…chiamo il coach, creo qualcosa di importante…mi faccio  “sponsorizzare” dal coach.

Ovviamente questa dinamica non riguarda tutti i coach e tutti i coachee ma dalla mia osservazione del fenomeno c’è anche questo e non meravigliatevi!!

Ho parlato con persone che hanno frequentato sedute di coaching e mi hanno detto che terminate le sedute il coach continua a bersagliarle di mail, con proposte, ecc.

Ma questo è marketing!!!

Io mi chiedo: se devi sospendere una dinamica di dipendenza, perché continui a mantenerti in contatto con il tuo “paziente”.

Ho visto altre persone che si sono rivolte a coach “di alto livello” che hanno continuato a tenere “il cordone ombelicale” con il coach stesso che gli sponsorizza addirittura i propri lavori, come un mentore (libri, incontri, workshop)…

In pratica si crea una subordinazione tra il coach (personaggio carismatico, con un nome famoso) e  l’utente (si chiama coachee) stesso che assomiglia più ad un adepto che si serve dell’ombra del coach per riuscire nelle sue imprese…per me è dipendenza comportamentale, perché se io fossi libero veramente camminerei con le mie gambe e non nominererei neppure il coach, invece accade molto spesso il contrario.


E chi ci guadagna alla fine è il coach: sia in ritorno d’immagine che in ritorno economico perché quel cordone ombelicale non è stato tagliato.

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